domenica 21 dicembre 2008

AI FRIULANI CHE CREDONO

Ai friulani che credono


SPUNTERÀ' PER LA CHIESA UN NUOVO GIORNO?

Incarnata come Cristo nella storia dell'uomo, la chiesa vive oggi in Friuli un momento particolarmente, ma bello ed importante. Si trova infatti in' una situazione unica, in cui, con l'aiuto di Dio, potrà fare una esperienza valida e nuova ed aprire una strada non solo per sè ma anche per quelle chiese che, con il passare del tempo, potranno trovarsi in una situazione analoga.
Per questo, come gruppo di preti e laici della diocesi, sentiamo la necessità di dare una nostra valutazione ed interpretazione dei fatti che stiamo vivendo perchè nella chiesa di Dio siamo tutti corresponsabili, a parità di diritti e doveri.
Con questo documento intendiamo offrire un aiuto a tutti gli uomini di buona volontà ed anche ai nostri superiori. In realtà sentiamo che i vescovi hanno le mani ed i piedi legati, sia a causa del centralismo romano, sia per la loro paura della pubblica opinione, sia soprattutto a causa di quel castello ecclesiastico che l'autorità si è costruita lungo i secoli per dominare e che ora li tiene prigionieri. Si compie così la parola del salmo: "Cade nella fossa che ha fatto" (Sal 7,16).
Per questo, da fratelli, diciamo con estrema franchezza ciò che pensiamo; non crediamo con questo di far loro del male, ma siamo anzi convinti di dar loro una mano e di far loro del bene.

UN NUOVO VOLTO DELLA CHIESA

Guardando i segni dei tempi e dei luoghi, pensiamo anzitutto che sia giunto il momento di dare risposte nuove alle nuove situazioni. Abbiamo ben presenti le parole di Cristo: "Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, perchè il rattoppo squarcia il vestito e si fa uno strappo peggiore. Nè si mette vino nuovo in otri vecchi, altrimenti si rompono gli otri e il vino si versa e gli otri van perduti. Ma si versa vino nuovo in otri nuovi, e così l'uno e gli altri si conservano" (Mt 9, 16- 17). Questo brano di Vangelo, a nostro avviso, non è stato recepito interamente dal Sinodo diocesano e soprattutto dal nuovo piano di distribuzione del clero, perchè entrambi danno più di una volta risposte sorpassate ai problemi dell'oggi.
Siamo convinti che un volto di chiesa, difeso dall'autorità ad ogni costo, è destinato a scomparire. Infatti nella sana mentalità del popolo di Dio non ha più alcun peso la religione della legge, della struttura, del tempio, del potere, dei partiti, della efficienza, del dominio sulle persone. E questo lo consideriamo nettamente positivo.
Non si tratta di fondare un'altra chiesa, ma di rischiare una nuova lettura della chiesa di Cristo; non si tratta di compiere miracoli, ma di offire segni di libertà e di amore nel cercare la strada dello Spirito e del popolo. Una chiesa di popolo e di Vangelo, di ultimi, di servizio del mondo, dove i valori umani diventano religione; una chiesa con il volto umano, semplice, libero, divino di Gesù Cristo; non fatta sul modello e ad imitazione dei potenti di questo mondo ma alternativa, e che, mescolandosi ai piccoli, sa vedere e conservare gelosamente ciò che l'Eterno Padre semina senza parsimonia anche al giorno d'oggi.
La struttura ecclesiastica deve demitizzare la sua organizzazione e smettere una buona volta di lavorare per la propria autoconservazione. Deve superare la legge che conduce al peccato e la smania di essere a posto con gli organigrammi ed i quadri. È preferibile perdere tutto questo anzichè perdere il Vangelo e la gente.

LA DISTRIBUZIONE DEL CLERO

Dietro al piano regolatore diocesano, che prevede per un prete un numero sempre più grande di paesi, non riusciamo a vedere le coordinate teologiche e pastorali che hanno suggerito questo determinato tipo di scelte.
Il Vangelo, il rispetto delle persone e della dignità dei paesi richiedono almeno questo: rifondare un modo di fare il prete che sia anche umano.
A due secoli dalla rivoluzione francese, anche il prete va rispettato come persona e non può essere sacrificato all'efficientismo della struttura.
Da parte nostra ci impegniamo, quando arriverà il nostro turno, a non accettare la responsabilità di un nuovo paese solo per carenza di preti o per questione di semplice obbedienza. Cercheremo di valutare la situazione per rispondere secondo coscienza, e non solo secondo criteri organizzativi, alla domanda che ci verrà fatta, giungendo, se lo riterremo opportuno, all'obiezione di coscienza. E questo per aiutarci, nella comune responsabilità, a studiare e a trovare nuove strade.

IL FONDAMENTO DELLA CORRETTA SPIRITUALITÀ DEL PASTORE

Crediamo che la pastorale consista. nei nostri paesi, in un rapporto umano fra il prete portatore del mistero della sapienza di Dio e la vita carica di problemi della gente.
Il prete è nel paese l'uomo della amicizia umana e della sapienza divina.
Per questo riteniamo umiliante, errata e dannosa la legge che prevede il cambiamento di parrocchia ogni nove anni.
La pastorale non è solo o soprattutto cultura teologica, scuola di catechesi e sacramentalizzazione, ma consiste prima di tutto, per un prete o operatore pastorale, nell'avere con la gente l'animo di Cristo.
Per un prete che è preso da Cristo, tutto diventa secondario: le leggi, i sinodi, le prescrizioni e le opere, perchè per lui è prioritario avere gli amori e le libertà di fondo di Cristo e di essere in sintonia con Lui e con la gente.
Questo fatto, che Cristo e la gente vengono prima della efficienza e della istituzione, è il fondamento della corretta spiritualità del pastore.

FIDUCIA NELLA GENTE

Ogni comunità di paese è chiesa; ogni comunità ha al suo interno lo Spirito che l'anima e che le dà, con la parola di Dio, i doni ed i carismi per essere popolo di Dio e sacramento e segno di salvezza nella vita odierna. Pertanto:
Vogliamo prima di tutto rispettare il paese e la gente, camminare insieme, senza mettere il paese nè nelle mani dei
movimenti, nè nelle mani degli estranei e dei forestieri, nè nelle mani dei nuovi catechisti che vengono sfornati dal centro.
Vogliamo mettere al centro della nostra attenzione la gente, accompagnandola con fiducia, in modo che il nuovo volto che la chiesa prenderà, quando piacerà a Dio, non sarà quello di una controriforma imposta dall'alto, ma quello che la gente sente più connaturale, come quelle chiesette che la gente sente proprie perché costruite con il suo sudore e non con il contributo del dopo terremoto.
Chiediamo che là diocesi studi, per i paesi senza prete, delle soluzioni complementari ed alternative, senza ammazzare di superlavoro e di disperazione i pochi preti rimasti.
Far girare continuamente un prete per più paesi non risolve assolutamente nulla, ed impedisce alla gente di maturare.
La diocesi valorizzi ed aiuti i preti che tentano nuove esperienze; rinunci ad uno stampo unico standardizzato per trovare le soluzioni più opportune caso per caso ed in modi diversi e differenziati.
Soprattutto abbia fiducia nella gente e le consegni la parola di Dio, la Bibbia, e la parola di Dio diventi la forza che rinnoverà la comunità stessa.

LA SCELTA PREFERENZIALE DEI PAESI PICCOLI

I paesi piccoli devono essere tenuti in palmo di mano, sia per la raccomandazione di Gesù di mettere al primo posto gli ultimi, sia per i valori che ancora custodiscono (in particolare i rapporti umani, condizione prima ed indispensabile per parlare di comunità cristiana), sia perchè è al loro interno che si potranno fare esperienze di una nuova pastorale e di comunità cristiane differenziate.
Un piano pastorale che parta dagli ultimi non può, in Friuli, non mettere in primo piano i paesi piccoli, per servirli meglio. In Friuli la scelta preferenziale dei poveri diventa la scelta preferenziale dei paesi piccoli.
Non vorremmo che, in nome di una logica mai messa in discussione, si continuasse a pensare che, "per addobbare l'altar maggiore di un duomo è lecito impoverire qualsiasi altro altare"; meno ancora quando, come nel nostro caso, non si tratta di altari ma di comunità.
Abbiamo tanto bisogno, come chiesa, di metterci sulla strada della semplicità: nei discorsi, nella liturgia, nei segni, nel catechismo, nella scelta dei responsabili, nei rapporti con la gente, e questo può venirci solo da una conversione ai "semplici" del Vangelo, ai piccoli dei paesi.
Si tenga conto di tutto ciò che di valido un paese racchiude, nella fiducia che ogni comunità possa riuscire ad esprimere i propri responsabili.

PRETI NUOVI - COMUNITÀ NUOVE

Nella diocesi ogni parroco presenti quelle persone che egli ritiene adatte, per inclinazione e capacità, a fare il prete. Oggi abbiamo tanta gente preparata come istruzione, impegnata come lavoro, realizzata come famiglia. Si tratta di trovare il modo di formarli sui fondamenti della dottrina cristiana, di allenarli alla predicazione ed al contatto con la gente, di dar loro !'incarico ufficiale, di farli lavorare, di consegnar loro una chiesa, di metterli assieme perchè imparino a conoscersi e ad amarsi ... e poi farli preti.
Si metta fine ad una mentalità che confonde il prete con un determinato modello di prete: lo Spirito Santo non si è fermato al concilio di Elvira (a. 300 c.).
Accanto alla formazione del prete celibe, si incominci a pensare ai giovani che desiderano diventare preti con una loro famiglia.
Dare responsabilità in diocesi ai preti che si sono sposati e che desiderano tornare ad esercitare il ministero.
Viviamo in tempi in cui ogni occasione persa ed ogni briciola sprecata sono un delitto contro lo Spirito Santo.


LA CHIESA FRIULANA PUÒ AVERE UN FUTURO

La storia del Friulici insegna che il nostro popolo ha saputo tante volte inventare le forme più adatte, in armonia con i tempi ed i luoghi, per vivere in maniera responsabile e comunitaria la fede, la speranza e la carità che vengono dal Vangelo; basti pensare alle "vicinie" del Medioevo, alle confraternite del '600, alle istituzioni cattolico-sociali di questo secolo. Ciò che è accaduto una volta può ripetersi anche in avvenire se avrèmo il coraggio di offrire al Friuli un nuovo volto di chiesa: la chiesa della parola di Cristo, delle piccole comunità che riescono a far fiorire la loro ricchezza di doni e di ministeri, di una liturgia popolare e locale. Non più una chiesa clericale-monarchica, ma una chiesa ministeriale.
"Il frutto dello Spirito è l'amore" (GaIS, 22) dice S. Paolo; ed in un'altra occasione scrive: "Dove c'è lo Spirito del Signore c'è libertà" (2 Cor 3,17).
Lo Spirito Santo ci dia amore e fiducia, libertà di seguire Gesù Cristo, possibilità di dialogo vicendevole, e per la chiesa in Friuli ci sarà un futuro.

Cjampei di Ravascletto, 13 settembre 1988

(seguono le firme)

(Traduzione dall'originale in lingua italiana) .

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